Ripercorrendo le tappe della nascita della B.T.L. si può notare come la matrice cristiana dell'associazione possa contare su una dedizione agli altri -al prossimo- che si alimenta al messaggio evangelico nel quale la sensibilità al dono e il valore dell'altruismo sono espressioni di amore.
Nel giro di poco tempo, la città scopre nella B.T.L. una nuova fonte di assistenza, una possibilità di intervento privato da aggiungere a quello istituzionale pubblico. Di questa associazione si parlava negli ambienti parrocchiali e sulla stampa, gli assistenti sociali chiedevano informazioni e collaborazione, i soci crescevano.
E così hanno cominciato a bussare alla porta della B.T.L. altri protagonisti del disagio, in particolare quello femminile. Parliamo delle ragazze incinte o allo sbaraglio, o delle mogli che avevano subito violenza dal coniuge o dal convivente, parliamo delle carcerate che in prima battuta sono state ospitate nelle case dei soci e poi seguite e visitate in carcere.
Per rispondere a queste emergenze, la B.T.L. ha aperto un'altra linea di credito (da vera Banca....) e ha pensato al modo più efficace di accogliere queste persone in questa città: una Casa di accoglienza.
Per realizzare questo progetto ci si è documentati andando a visitare strutture di questa natura già attivate in altri territori, come per esempio l'associazione Giovanni XXIII di don Oreste Benzi a Rimini, le case famiglia in provincia di Vicenza, seguendo i vari convegni alla Fondazione Zancan e altrove sulla pastorale sanitaria ecc.
Le forze c'erano, sorrette da autentico entusiasmo, ciò che mancava era lo spazio fisico dove aprire questa attività assolutamente necessaria e mancante nel territorio.
Mentre si aspettava l'apertura di quella casa-rifugio, i casi si presentavano in continuazione.
Per esempio, ricordiamo B.A., diciotto anni, da Ca' Emiliani, cacciata dalla madre che voleva stare liberamente con i suoi "fidansati" come la ragazza chiamava gli uomini che entravano in casa sua. Come soccorrerla? Dove mandarla? Provvisoriamente, una volontaria l'ha presa con sé, in casa, l'ha portata in vacanza con la propria famiglia. Dopo questo periodo, B.A. è tornata con la madre. Ma la convivenza è durata ben poco: una notte, B.A. è tornata a chiedere aiuto alla famiglia che l'aveva accolta e seguita. Ha vissuto con loro e pochi giorni dopo è stata accompagnata a Rimini dove è stata accolta nella comunità di don Benzi. L'inserimento le ha giovato, al punto che dopo essere stata ospite in una casa-famiglia, si è sposata e oggi vive serena.
I casi umani, nell'attesa della sospirata sede, bussavano continuamente a quella porta, purtroppo non ancora aperta. Intanto, l'associazione faceva appelli ovunque, molto spesso dall'altare del Duomo. E le risposte cominciavano ad arrivare. Allora, senza indugiare nell'attesa, la B.T.L. ha allestito dei letti di fortuna nella propria sede, fin dentro gli uffici, per alleviare i disagi dei volontari che non sempre potevano aprire le loro case, anche perché le situazioni di emergenza si moltiplicavano. Ricordiamo, fra gli altri episodi, quello dei due fratelli che dormivano dentro un'autobobile e quello di una ragazza con gravi problemi di socializzazione e incinta. Casi emblematici ma che erano soltanto la punta dell'iceberg.
In quei mesi, alle emergenze del nostro territorio hanno cominciato ad aggiungersi quelle dei primi profughi albanesi: due nuclei famigliari arrivati da Valona con un peschereccio sono stati accolti in un primo momento a Chirignago e successivamente sono arrivati all'associazione che da quel momento ha cominciato a organizzarsi per affrontare quella che sarebbe diventata presto una vera ondata di disperati.
Che fare? Quegli sventurati non avevano vestiti di riserva, non avevano denaro, non avevano nemmeno bagaglio: insomma, si è cominciato con il nutrirli e vestirli. Poi si è riusciti a trovare un lavoro in fabbrica per gli uomini mentre le donne lavoravano come colf chi in una parrocchia, chi in una famiglia e le figlie erano ospiti di volontarie B.T.L.. La notte, le donne e i bambini hanno dormito per un periodo nei locali della B.T.L. finché la Provvidenza -che aveva un nome, un cognome e un indirizzo di Mestre- ha offerto loro ospitalità in una casa rimasta in quel periodo vuota. Piccolo particolare: il serbatoio del gasolio era pieno, la dispensa fornita e l'accoglienza dell'ospite pronta e amorevole.
Torniamo a don Oreste Benzi, con il quale si era instaurato un buon rapporto, la B.T.L. lo ha invitato a Mestre dove, nell'affollata sala del Laurentianum, ha esposto alla città le linee della sua azione e ha "promosso" l'impegno della B.T.L. incamminata sulla strada che lui aveva aperto in Romagna. L'associazione si è rivolta alle istituzioni pubbliche, dal Comune alla Regione dove il progetto della B.T.L. è stato apprezzato, ma la risposta concreta non veniva.
Finché la parrocchia -come sempre- non si è fatta carico anche di questo problema. Infatti, monsignor Angelo Centenaro, superando le molte difficoltà e le incertezze che sbarravano la strada al progetto, ha concesso una parte della Casa della comunità -dov'erano già presenti il pensionato maschile Foyer, retto dai Gesuiti, l'AGESCI, le suore di San Paolo e altre realtà- cambiandone la destinazione d'uso.
In una prima fase si è pensato di ricavarne un appartamento capiente: quattro stanze da letto, servizi, cucina e soggiorno comuni, stanza per la segreteria e una per la suora coordinatrice. Ma a quel punto è sorta la domanda: "E adesso chi ci aiuta?"
La risposta è venuta ben presto grazie alla sensibilità del Lions Club Mestre, presidente Fernando Bozzone, che ha promosso un meeting ad hoc invitando, con il delegato patriarcale mons. Angelo Centenaro, l'allora presidente della B.T.L., Nadia Ganzaroli Prandin, l'assessore regionale ai servizi sociali Maurizio Creuso, il prosindaco Rosa Carbone e l'assessore comunale alla sicurezza sociale Giorgina Nascimbeni. Dopo quella serata -era il 28 novembre 1989- che ha trovato eco nella stampa locale, ha cominciato a concretizzarsi la trasformazione e l'arredo dei locali messi a disposizione dalla parrocchia di San Lorenzo su progetto e con la direzione dei lavori dell'architetto Giampietro Pizzato, socio Lions.
Un altro socio di questo benemerito club è stato l'industriale Eugenio Pamio proprietario della Leucos di Scorzè, che ha fornito tutti i lampadari. E' stato in quel momento e nella scia del Lions, che Mestre si è mossa: sono venuti i contributi della Regione Veneto, del Prefetto, della Cassa di Risparmio, della Mestre benefica, di singoli cittadini, perfino dell'associazioine parrucchieri e del gruppo "Veterani si nasce" ecc.
Un altro club service cittadino, il Soroptimist allora presieduto da Magda Muscarà (1991), ha dedicato una serata alla B.T.L. durante la quale sono stati raccolti 7 milioni di lire destinati alla nostra Casa di accoglienza come contributo per l'arredo delle cucine e per l'installazione della linea telefonica. Si sono messe a disposizione anche figure professionali specifiche per affrontare le esigenze delle future ospiti.
Mentre questo progetto prendeva corpo, nel Natale 1990 le suore di Maria Bambina, operanti nel carcere femminile della Giudecca, hanno segnalato alla B.T.L. il caso di una condannata che aveva avuto la concessione di alcuni giorni di libertà ma la sua famiglia non l'aveva accolta. Doveva perciò rinunciare a quel primo, piccolo scampolo di libertà -dopo sei anni di reclusione- se non si trovava qualcuno che garantisse per lei e la ospitasse. Lo ha fatto ancora una volta una socia della B.T.L. accogliendo quella sventurata nella propria famiglia.
Finalmente la Casa di accoglienza è nata. E una delle prime ospiti è stata una donna di Mestre che molti hanno visto a lungo, ogni giorno, seduta su una panchina in piazza Ferretto e vicino al Duomo. Chiamiamola A.Z. Tutta la città le sfilava accanto. Chi era? Dove abitava? Aveva famiglia? Perché trascinava all'aperto, in mezzo alla gente, la sua angoscia? Quale pena la tormentava, così grande da annullare ogni forma di autodifesa o di pudore?
A.Z. non chiedeva l'elemosina, non interpellava i passanti, stava semplicemente lì, immobile e silenziosa come una statua. Era dentro un oscuro dramma che aveva stroncato le sue energie e l'aveva trascinata oltre la disperazione, quando una delle socie della B.T.L. ha deciso di parlarle, di ascoltare la sua storia. Questo primo contatto ha aperto una breccia nel suo mutismo e, un po' alla volta, si è riusciti a portarla alla Banca del Tempo libero dove ha accettato l'aiuto che le veniva offerto e lentamente è uscita dal tunnel in cui l'avevano portata la grave malattia della madre e il figlio tossicodipendente.
© Banca Del Tempo Libero (B.T.L.) - Mestre (VE)